Al cimitero ci ho imparato a leggere, ho imparato a leggere i nomi sulle lapidi. Le prime parole lette sono state nomi di gente morta. Più avanti ho imparato a farci anche i conti al cimitero, all’inizio delle semplici sottrazioni per calcolare la durata di una vita, poi, di pari passo con il programma scolastico, iniziai a fare la media di tutte le differenze ottenute, così, per sapere più o meno quanto ancora restava da vivere alle persone che conoscevo. Per la divisione mi aiutavo con pezzi di coccio usati come gessetti sul cemento. Al cimitero, oltre ai morti ufficiali, avevo una lista di gente morta da andare a trovare, amici che mi ero fatto lì nei pomeriggi passati tra tombe, calcoli e cipressi, persone che mi erano rimaste simpatiche da una fotografia. Avevo anche dei nemici tra quei morti, morti antipatici colpevoli di esser venuti male nella loro ultima foto. Passavo a trovare anche il più vecchio del cimitero con la lapide scura e senza fiori. Non ricordo se fosse stato il primo a nascere o il primo a morire, o forse prima di lui non avevano ancora inventato il cimitero. Poi c’erano le tombe piccole dei bambini ma tante senza la foto, che non avevano vissuto abbastanza da poter vedere una macchina fotografica. Io pensavo che molti di loro si trovassero ancora allo stato embrionale, con la testa grande e gli arti non del tutto sviluppati. Non di certo fotogenici, no. E quella zona non mi piaceva affatto, lì la gente era più triste del normale e l’idea di corpi non del tutto umani sotto ai piedi e nei muri mi spaventava, tanto che le loro vite non finivano nemmeno tra gli addendi per il mio calcolo della vita media. Anche i nuovi arrivi non avevano foto, ma croci di legno piantate nella terra smossa e poi fiori, tanti, corone di fiori, mazzi di fiori profumati di camposanto. Lei era bellissima, con i capelli alla moda, relegata in un angolo basso in fondo al corridoio dal 1922, l’epitaffio diceva che aveva dato la sua giovane vita per l’arte e per l’amore. Uscivamo insieme dal cimitero e, lungo il viale di pioppi, le facevo vedere come il mondo fosse andato avanti.
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