lunedì 21 marzo 2011

Barabba

Trovare un pò di silenzio è cosa rara a casa mia.
Le auto passano senza sosta per tutto il giorno, fino all'una di notte e oltre. Sirene delle ambulanze e della polizia che nemmeno a Hell's Kitchen... poi ogni mattina alle sette la spazzatrice, tranne il mercoledì quando i mercatari hanno già occupato la piazza dall'alba. E gli albanesi che ascoltano in macchina musica araba, gli arabi che ascoltano musica araba, e il bum bum delle casse Rotterdam dalle auto di passaggio... Il fine settimana i due bar davanti la camera aprono alle tre del mattino per dare cappuccini e cornetti ai tipi della notte che tornano in piena forma dalle discoteche con gli stereo a tutto volume per i colpi di sonno, saziano la loro fame chimica e restano lì finchè l'alcol dallo stadio liquido non diventa parola fino ad esalare quasi completamente. Cioè l'alba. Ma va bene così maledetti, non sarebbe più casa mia sennò, e poi vi ho assimilato ormai.
La domenica pomeriggio, subito dopo pranzo quando i capannelli di persone sono stati sciolti dai profumi delle lasagne e degli arrosti, ti illudi per un attimo e, vista la rarità della cosa, credi di esser diventato sordo. Ma come ho detto, per un attimo.. Alle tre, proprio mentre tutto il mio essere è impegnato ad iniziare la digestione lasciandomi in quello stato di sonno meditativo, l'immancabile funerale sfila sotto camera mia con il suo seguito di ave marie recitate al megafono e a ruota parte la giostra dei bimbi con la sua scaletta musicale che prevede soltanto all you need is love e che si protrae per tutto il pomeriggio. 
Soltanto a notte fonda, quando nella maggior parte dei casi mi trovo ormai già al di là del sole, dell'etere e dei confini stellati, soltanto allora i rumori cessano. (Fine settimana esclusi naturalmente!).
Tre o quattro ore dove si ode solamente il rumore dell'acqua della fontana della piazza. Ma questo è rilassante e, se non si è di vescica debole, ti lascia dormire e ti aiuta a fare sogni belli. Lo so che le parole piazza, fontana e bei sogni stonano parecchio se messe insieme, ma pensate al rumore dell'acqua, come la risacca del mare, perchè di quello sto parlando.

Quelle poche ore di silenzio, da qualche settimana, sono state occupate dal canto di un uccello notturno o forse da un uccello diurno insonne. L'altra sera mi son sentito di scendere in piazza per andare a conoscerlo. Era il 19 marzo e il nostro satellite si trovava al perigeo in fase di luna piena. Ho usato la superluna come sfondo per passare al setaccio tutti i rami dei platani ancora privi di foglie e alla fine l'ho visto, tutto bellino che cantava il suo motivetto baluginante nel buio. Poi ho riso pensando allo stolto che, quando gli indicano la luna, non solo non vede la luna ma neanche il dito, vede un uccello.
Comunque non sono riuscito a capire che razza di uccello fosse e, nell'incertezza, gli ho affibbiato un nome io.
Quando devo scegliere, nel dubbio scelgo sempre Barabba.

BARABBA


(pennarello nero)

sabato 5 marzo 2011

Scontro a fuoco a Foiano.

Delle tavole fatte nel 2002 con la china usata come acquerello, una storia della resistenza con una sceneggiatura che non quadra per niente. Ci vuole molta fantasia...per riuscire a leggerla!
Si svolge in Valdichiana e vede protaginisti un gruppo di partigiani che si scontra, un pò casualmente, con una pattuglia nazifascista. L'azione è rapidissima ed inevitabile. E' un fascista, autista dei tedeschi, che dà l'allarme e scatena il fuoco incrociato. Ci sono feriti da entrambe le parti, un morto tra i partigiani, c'è l'ansia per le famiglie possibili bersagli di rappresaglia, la tristezza per la successiva cattura di un gruppo di partigiani e antifascisti.
Una storia a fumetti non dovrebbe avere bisogno di nessun "spiegone" preventivo per essere seguita. Questa ce l'ha!










La storia, volutamente, si ferma a questo episodio e non racconta delle sevizie che i partigiani dovettero sopportare, né della fucilazione di tre di loro sulla piazza di Foiano.

giovedì 3 marzo 2011

Lungo il viale di pioppi



Al cimitero ci ho imparato a leggere, ho imparato a leggere i nomi sulle lapidi. Le prime parole lette sono state nomi di gente morta. Più avanti ho imparato a farci anche i conti al cimitero, all’inizio delle semplici sottrazioni per calcolare la durata di una vita, poi, di pari passo con il programma scolastico, iniziai a fare la media di tutte le differenze ottenute, così, per sapere più o meno quanto ancora restava da vivere alle persone che conoscevo. Per la divisione mi aiutavo con pezzi di coccio usati come gessetti sul cemento. Al cimitero, oltre ai morti ufficiali, avevo una lista di gente morta da andare a trovare, amici che mi ero fatto lì nei pomeriggi passati tra tombe, calcoli e cipressi, persone che mi erano rimaste simpatiche da una fotografia. Avevo anche dei nemici tra quei morti, morti antipatici colpevoli di esser venuti male nella loro ultima foto. Passavo a trovare anche il più vecchio del cimitero con la lapide scura e senza fiori. Non ricordo se fosse stato il primo a nascere o il primo a morire, o forse prima di lui non avevano ancora inventato il cimitero. Poi c’erano le tombe piccole dei bambini ma tante senza la foto, che non avevano vissuto abbastanza da poter vedere una macchina fotografica. Io pensavo che molti di loro si trovassero ancora allo stato embrionale, con la testa grande e gli arti non del tutto sviluppati. Non di certo fotogenici, no. E quella zona non mi piaceva affatto, lì la gente era più triste del normale e l’idea di corpi non del tutto umani sotto ai piedi e nei muri mi spaventava, tanto che le loro vite non finivano nemmeno tra gli addendi per il mio calcolo della vita media. Anche i nuovi arrivi non avevano foto, ma croci di legno piantate nella terra smossa e poi fiori, tanti, corone di fiori, mazzi di fiori profumati di camposanto. Lei era bellissima, con i capelli alla moda, relegata in un angolo basso in fondo al corridoio dal 1922, l’epitaffio diceva che aveva dato la sua giovane vita per l’arte e per l’amore. Uscivamo insieme dal cimitero e, lungo il viale di pioppi, le facevo vedere come il mondo fosse andato avanti.