martedì 28 agosto 2012

Io Faverei, Tu Faveresti, Ella Toperebbe




Arrivava in paese tutto lustrato e via con i racconti delle sue gesta erotiche: quella l’ho presa di ‘osì, con quell’arta ancora ci sono andato proprio per fagli un piacè (“si dice per farle, ghiozzo che un sei artro”, pensavo aggrappandomi alla grammatica per sentirmi un po’ migliore), quell’artra era un mese che mi rompeva i ‘oglioni e ora vedrai la voglia gli è passata (“gli è? Ma come è possibile!). E io appoggiato al muro del circolino Arci a fare la cariatide, perché mi sentivo come se stesse per cascarmi addosso tutto il palazzo. Io, che per uscire con una ragazza dovevo litigarci per almeno due giorni.
Insomma, il tipo tutto fiero schioccava le dita e le ragazze gli saltavano addosso, ma se lo guardavi bene negli occhi sembrava quasi che il piacere più grosso lo provasse nel raccontarlo. Si, lo raccontava con le mani e con il bacino, gli occhi fuori e la mascella disgiunta in avanti. Aveva un racconto così sterile che pareva andasse a letto con le ragazze solo per il gusto di sentire il sapore della sigaretta una volta finito, per il gusto di essere quello che, spenta la sigaretta se ne andava senza dare spiegazioni. A giudicare dalle aspirate che dava ai marlborini il vero orgasmo doveva risiedere proprio lì, nel fumare. In pratica il suo piacere non stava tanto nel trombare ma, paradosso dell’edonismo, nel gusto di fare crepare d’invidia tutti gli amici al bar.
“Vuoi trombanne tante anche te come lui? Deh, un ci vor nulla, raccontalo anche te!” mi disse una sera un ometto tutto grinzoso che teneva il ponche con due dita con la leggerezza di chi ne ha maneggiati davvero parecchi.. “Ma ri’ordati, ti puoi creà anche una fama, ma se poi ti rimane la fame un ti serve a nulla..”. Io lo guardavo zitto e con gli occhi spalancati continuando a bere dal bicchiere già vuoto da un po’.     “Se non la chiedete non ve la dannooo…” continuava l’omìno mentre guardavo gli scurini di legno del finestrone del bar immaginandolo morbido abbastanza da inciderci sopra le sacre leggi come Mosè.. “…è questa la ‘osa fondamentale che un volete capì, cane della berva ladra!”. “..E poi studiate, studiate, studiate che se acquisite un bon uso della dialettica basta avè du’ cazzate da raccontà e ‘r gioco è fatto, o perlomeno un ci fate la figura der ghiozzo come luilì che chiacchera di cicchini da mezzora”.
“Studiate perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza” mi ripetevo mentalmente reduce da una recente lettura di Gramsci.
“E se un ve la danno un vi scoraggiate, pesa meno un rifiuto der rimorso d’un averla nemmeno chiesta”.
“Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso” pensavo mentre immaginavo l’omìno bere i ponche al rum con il Che e Fidèl sulla Sierra Maestra.
“Fammi vedè se hai ‘apito quarcosa” disse Grinza di punto in bianco. “T’ho visto che mi seguivi nei discorsi, ma ora è arrivato ir momento di mettili subito ‘n prati’a. Operativi diocane!” “Vai da quella ragazzina, che vi vedo sempre ‘he vi guardate e che ruzzate insieme come i deficienti ...e chiedigliela”.
“Oimmei” pensai, “così dal nulla?”. Ma non potevo certo deluderlo, proprio ora che, senza concedermi nessuna replica, si era nascosto dietro il mezzobusto di Lenin a guardare la scena con un ponche nuovo in mano.
Presi un altro vino al bancone, due sorsi per farmi coraggio e via a sedere davanti alla ragazza... secondi d’interminabile silenzio... bevo e faccio finta di avere la bocca troppo impegnata dalla degustazione del vino per potere dire qualcosa… interminabile silenzio… l’omìno scuote il capo e abbassa lo sguardo… silenzio ancora… l’omìno sta per girarsi dall’altra parte quand’ecco che sente delle parole. La tipa aveva preso in mano la situazione e guardandomi con l’aria un po’ sfavata tipica della metà degli anni novanta disse ”Oh, allora? Perché mi guardi e non favelli?”.
A volte anche la Storia ha bisogno di una spinta mi sussurrava il Lenin di bronzo fuso alle mie spalle. Posai il bicchiere e guardandola dritta negli occhi sentenziai “IO FAVEREI ANCHE, MA SEI TE CHE NON TOPI”.
L’omìno accennò un sorriso grinzoso e alzò il ponche al cielo in segno di approvazione.

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